Ciao, sono Aurora, ho 25 anni e vengo dalla Sicilia. Dopo cinque intensi anni di università e due esperienze Erasmus, una volta finiti gli studi ho sentito il bisogno di fermarmi un attimo e riflettere, capire se le mie aspirazioni fossero davvero la strada giusta per me.
Ho scelto di fare volontariato a Baena, una piccola cittadina rurale nel cuore dell’Andalusia. Conoscevo già questa regione grazie a uno dei miei Erasmus a Cordova l’anno prima, e me ne ero innamorata subito.
Ho collaborato con ADEGUA, un’associazione straordinaria che è anche un centro Europe Direct. Baena è un posto dove i turisti sono rari, e dove tutti sono imparentati in qualche modo. Qui, io e le altre volontarie non passavamo certo inosservate, ma proprio per questo mi è sembrato il luogo ideale per “fare Europa”.
Il mio lavoro da volontaria era incentrato sui valori europei e su come promuoverli. Insieme alle altre tre volontarie, organizzavamo workshop, giochi e attività utilizzando metodi di educazione non formale, che poi portavamo nelle scuole. Abbiamo lavorato con persone di tutte le età, dai bambini dell’asilo agli studenti delle superiori, fino agli anziani, adattando le attività al contesto in cui ci trovavamo.
Anche se Baena è piccola, ogni scuola in cui siamo state aveva una propria anima e un contesto sociale unico. Tra tutte, una in particolare mi ha colpito profondamente, non solo come volontaria ma anche a livello personale. Si tratta di una scuola situata nella zona più marginale della città, un quartiere difficile dove molti ragazzi vedono nella violenza l’unica soluzione ai problemi.
Non era la prima volta che mi trovavo in una realtà simile, ma non è mai facile, perché quando si tratta di rapporti umani, non ci sono formule magiche. In un contesto dove i bambini crescono con stereotipi, soprattutto di genere, e dove lo studio ha poco valore, parlare di Europa e dei suoi valori è stata una vera sfida. Il nostro obiettivo era sempre quello di lasciare qualcosa, anche se piccolo, attraverso le nostre attività.
Quando ho scelto di partecipare a un progetto del Corpo Europeo di Solidarietà, ero a un punto di svolta nella mia vita, sia personale che professionale. Volevo capire se lavorare nelle scuole fosse davvero la mia strada, e appena ho trovato il progetto giusto per me, mi sono buttata senza esitazione. In poco tempo ho fatto domanda, sostenuto il colloquio e preparato le valigie per partire.
Arrivata a Baena, mi sono trovata ad affrontare un mare di dubbi e paure. Anche se non vengo da una grande città, vivere in un luogo così piccolo e chiuso non è stato semplice. Fare amicizia o creare legami al di fuori del volontariato è stata quasi una sfida, ma guardando indietro, sono certa che tutto quello che ho costruito in quella cittadina circondata da ulivi rimarrà con me per sempre. La gioia di stare tra i bambini e i ragazzi, imparando da loro cultura, lingua e dolcezza, è qualcosa di inestimabile.
Ricordo un bambino che, subito dopo che mi ero presentata dicendo che venivo da un’isola, mi chiese se avevo amici e se lì arrivava il cibo, immaginandomi come una sorta di Robinson Crusoe al femminile. Ho imparato tanto su di me, sulle mie capacità, sui miei limiti e su ciò su cui devo ancora lavorare.
Il Corpo Europeo di Solidarietà non è un modo per mettere la propria vita in pausa, costruendo una sorta di realtà parallela. Al contrario, scegliere di fare volontariato europeo significa mettersi in gioco, rischiare, migliorarsi e capirsi, costruire casa e relazioni dove prima non c’era nulla. Significa entrare piano piano in una cultura e una lingua che non conoscevi, e che ora senti parte di te. Il Corpo Europeo di Solidarietà rappresenta la bellezza della libertà, la possibilità di uscire dagli schemi e dalle gabbie mentali, e a volte geografiche, che ci impediscono di crescere o cambiare. Non è solo questione di vivere in un paese diverso dal proprio (ho conosciuto persone che hanno fatto volontariato nella propria città), ma di poter scegliere tra una vasta gamma di progetti, sapendo di avere un sostegno sia economico che personale. In questo senso, un ruolo importante è stato svolto dalla mia organizzazione di supporto, InformaGiovani, che mi ha accompagnato durante questi nove mesi con impegno e professionalità.
È normale avere paura del cambiamento, così come è normale temere di lasciare tutto e partire. Ma la verità è che bisogna sempre avere il coraggio di cercare, a modo proprio, la bellezza di cui abbiamo bisogno, e in questo il Corpo Europeo di Solidarietà è un alleato prezioso.